La storia dell’infanzia abbandonata è un filo conduttore doloroso che attraversa i secoli, tessendo storie di vulnerabilità, sofferenza e, a volte, speranza inaspettata. Nel XIX secolo in Italia, questo problema sociale aveva dimensioni sconvolgenti. Circa centocinquantamila bambini sotto i dieci anni erano assistiti ogni anno da brefotrofi (istituti dove si accoglievano e si allevavano neonati abbandonati) e amministrazioni locali; si contavano dai trenta ai quarantamila neonati abbandonati annualmente alla “carità” pubblica e privata. Non era un fenomeno limitato a specifiche aree, ma interessava tutte le regioni d’Italia. Le cause erano varie, spesso difficilmente individuabili dato il segreto che copriva gli abbandoni, ma già i contemporanei riconoscevano nelle misere condizioni economiche delle famiglie la ragione principale.
In questo contesto, il brefotrofio, nato per salvare i neonati abbandonati in luogo pubblico, si rivelava spesso un luogo drammatico. Le carenze igienico-sanitarie erano gravi e gli istituti, spesso ridotti a ospedali per bambini illegittimi, mancavano di attrezzature e personale adeguati. L’opinione pubblica parlava di una vera e propria “strage degli innocenti” a proposito degli esposti e dei brefotrofi che li ospitavano. I tassi di mortalità erano altissimi. Le cause includevano le scarse cure igieniche, l’allattamento artificiale (non ancora perfezionato e con pessimi risultati), i lunghi viaggi subiti dai neonati prima di arrivare all’istituto e le malattie ereditarie. Nonostante i dibattiti e le proposte di legge, una legge nazionale che tutelasse i bambini abbandonati tardava ad arrivare.

Nunzio Sulprizio: dall’abbandono alla santità
Una figura che visse personalmente la drammaticità di quest’epoca, anche se la sua storia è leggermente precedente all’ultimo quarantennio del secolo XIX, fu Nunzio Sulprizio, nato a Pescosansonesco (Abruzzo) nel 1817. Questo giovane ha saputo fare della sofferenza uno strumento d’amore: «Soffrite per amore di Dio e con allegrezza», diceva.
A 6 anni è già orfano di madre e di padre. Viene quindi affidato alla nonna materna. La nonna è per Nunzio una vera e propria maestra di vita e di fede: da lei impara l’amore per la santissima Eucaristia, per i sacerdoti e per la beata Vergine Maria.
Il piccolo Nunzio dialoga con Gesù presente nel tabernacolo della sua chiesa parrocchiale, dove sosta in adorazione per lunghe ore, parlando con Gesù e poi, rientrato in casa, con la nonna prega il santo Rosario. Alla morte della nonna, però, viene affidato a uno zio che lo obbliga al lavoro nella sua bottega di fabbro: carichi pesanti, lunghe distanze da coprire a piedi con ogni tempo, ma Nunzio non si lamenta; pensa a Gesù e inizia a offrire a lui la sua fatica. Un giorno, però, una ferita al piede si incancrenisce. Un altro zio, venuto a conoscenza della sua situazione, lo affida al colonnello Felice Wochinger, che lo prende a cuore: si stabilisce dunque che Nunzio si trasferisca a Napoli. Non ha un bagaglio con sé, le uniche cose che possiede sono quelle che indossa: la corona del Rosario al polso e un libricino di preghiere alla beata Vergine Maria. Il colonnello è per lui un buon papà tenero e premuroso.
Il ragazzo rimane a lungo all’ospedale degli Incurabili, dove riceve Gesù Eucaristia per la prima volta. Qui aiuta gli altri ricoverati; digiuna, prega e dona il suo pasto a chi è più solo e povero di lui.
Uscito dall’ospedale, ma ancora molto sofferente, si trasferisce dal colonnello e tra i due s’instaura un bellissimo rapporto. Nel pomeriggio del 5 maggio 1836 Nunzio chiede al colonnello di poter ricevere i sacramenti e dopo due ore esclama: «Vedete come è bella la Madonna!» e dolcemente si addormenta in Cristo.

L’infanzia abbandonata oggi
Oggi, il problema dell’infanzia abbandonata e vulnerabile, pur assumendo forme diverse e un contesto globale, è ancora una sfida aperta: la Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU nel 1989 e ratificata in Italia nel 1991, ricorda che la tutela dei bambini non può essere lasciata solo alla famiglia. Centinaia di migliaia di bambini in tutto il mondo rimangono soli a causa di guerre, carestie e crisi economiche. Molti sono vittime di sfruttamento. L’UNICEF stima che circa 356 milioni di bambini nel mondo vivano in condizioni di povertà estrema, e la pandemia ha spinto altri 150 milioni circa nella povertà, privandoli di risorse economiche, educative e relazionali, bruciando il loro futuro.
La “strage degli innocenti” del XIX secolo, con le sue cifre sconvolgenti e le storie personali di sofferenza, come quella di Nunzio, ci parlano ancora potentemente. Ci ricordano la fragilità intrinseca dell’infanzia e la responsabilità della società nel suo complesso di proteggerla. San Nunzio Sulprizio, riconosciuto come modello per i giovani, ci mostra come, anche nelle condizioni più avverse, una vita possa trovare significato attraverso l’amore e la fede. La sua storia personale, intessuta nella drammatica realtà dell’infanzia abbandonata di un secolo fa, risuona oggi come un monito: la vulnerabilità dei bambini è una costante che richiede la nostra continua attenzione, compassione e azione concreta, affinché nessun bambino sia più lasciato solo al mondo e veda il suo futuro “bruciato”.