La solitudine, il rifiuto, quella che papa Francesco definisce la «cultura dello scarto» sono temi tanto urgenti in una società che è sempre connessa, ma non sa più chiamare per nome i propri fratelli e raramente fa sentire il calore di un abbraccio: viviamo spesso come isole alla disperata ricerca di un senso.
Se ti capita di sentirti rifiutato, messo ai margini, isolato e fuori posto, sappi che c’è una santa che ha vissuto tutto questo prima di te ed è stata capace di trasformarlo in amore e in luce: santa Margherita della Metola o da Città di Castello.
Scopriamo la sua strada per accendere la speranza in un mondo che spesso sembra volerla spegnere.
La durezza del rifiuto
Il XIII secolo accolse nel suo grembo una piccola anima destinata a conoscere l’ombra del rifiuto ancor prima della luce del mondo. Margherita nacque nel castello della Metola, tra l’Umbria e le Marche, intorno al 1287, ma la sua venuta fu accolta con sgomento. Cieca e deforme, Margherita divenne immediatamente un peso insopportabile per i suoi nobili genitori, Parisio ed Emilia, un’onta al loro orgoglio familiare. La decisione fu fredda e definitiva: rinchiuderla in una cella oscura adiacente alla chiesa del castello, affinché la sua esistenza rimanesse celata, un segreto vergognoso.
Immaginate la solitudine di quei primi anni, trascorsi in un silenzio rotto solo dalle sue preghiere: una bambina privata dell’affetto genitoriale, confinata nell’oscurità non solo fisica, ma anche affettiva. Eppure, in quel cuore infantile non germogliò la ribellione, ma una profonda comunione con Dio, trovando in lui quella pace e quella serenità negate dal mondo esterno. Questa precoce intimità con il divino fu la sua prima risposta silenziosa a quella terribile solitudine.
La speranza di un miracolo condusse i genitori a Città di Castello, presso il sepolcro di Giacomo, un frate francescano da poco scomparso e già venerato. Ma la guarigione tanto desiderata non avvenne. E fu allora, di fronte al fallimento delle loro aspettative, che Parisio ed Emilia abbandonarono Margherita a Castello, «senza pietà, sola, senza provvedere a lei, priva di ogni soccorso umano».

Fare della solitudine un dono
Gettata in un mondo sconosciuto, cieca e disabile, Margherita conobbe la dura realtà della mendicità, una solitudine ancora più desolante, fatta di indifferenza e precarietà. Per un breve periodo, trovò rifugio nel piccolo monastero di Santa Margherita, ma poi ancora una volta, fu respinta, cacciata con offese e ingiurie, sperimentando l’amaro sapore del tradimento e dell’isolamento.
Ma la Provvidenza, che non abbandona mai i suoi figli, aprì per Margherita un nuovo orizzonte di speranza: una coppia di sposi pii, Venturino e Grigia, la accolsero nella loro casa. Le offrirono non solo un tetto, ma un luogo dove potersi dedicare liberamente alla preghiera e alla contemplazione. In quella piccola stanza, Margherita ritrovò un po’ di quella quiete interiore a lungo negata. La sua riconoscenza si manifestò nel dedicare i suoi eccezionali carismi al servizio dei suoi benefattori e della loro comunità. Educò i loro figli nella fede cristiana, offrì consiglio e conforto a chi ne aveva bisogno, protesse i suoi amici dai pericoli e si prese cura dei poveri e dei sofferenti della città. Nonostante la sua cecità e le sue infermità, divenne un faro di carità per gli ultimi, trasformando la sua solitudine in un’occasione per donarsi agli altri.
Nella casa di Venturino e Grigia, Margherita trascorse il resto della sua breve esistenza, unendo la preghiera e la contemplazione a una carità operosa.
Era cieca, ma viveva nella luce
Il vescovo di Città di Castello, monsignor Domenico Cancian così parla di lei: «Margherita, santa della porta accanto, può insegnarci a trasformare il male in bene, senza cedere allo sterile vittimismo e alla lamentela inutile, invitandoci a una reazione evangelica che sa vedere come tutto può concorrere al bene.
La sua avventura spirituale può essere riassunta in un motto: era cieca ma viveva nella luce. Tutto ciò è uno schiaffo alla cultura dello scarto che valuta l’uomo o la donna soltanto con il metro dell’utilitarismo. Margherita è la testata d’angolo ricavata dalla pietra scartata: prima dalla famiglia che, rifiutando i suoi deficit, l’aveva rinchiusa in casa e poi abbandonata a Città di Castello, e persino da una comunità religiosa dove lei era entrata. La sua vita poteva essere marcata dai risentimenti che ritengo lei umanamente avesse anche avvertito, ma li ha vinti con l’amore. E così è stata una donna che ha portato fra la gente la bellezza di una vita di preghiera e di donazione agli altri nel segno della carità e della vicinanza agli ultimi».
Con la sua vita di luce e di speranza nonostante tutto, Margherita ci insegna a non arrenderci mai di fronte alla sofferenza e alla solitudine. La sua vita è un potente messaggio di speranza, che ci ricorda che la vera grandezza non risiede nell’assenza di difficoltà, ma nella capacità di non arrendersi mai, di trasformare la solitudine in un’opportunità per amare più profondamente e di trovare in Dio l’abbraccio che il mondo a volte nega.
Se vuoi approfondire la tua conoscenza di santa Margherita, ti consigliamo: Margherita. La santa disabile. Mauro Papalini, in un libro ricco di precisi riferimenti storici, ci presenta santa Margherita della Metola o da Città di Castello in tutta la sua bellezza. Nella seconda parte del libro le preghiere aprono un dialogo diretto con lei per chiedere il suo sostegno e la sua intercessione. È stata realizzata una versione in audiolibro, che rientra tra le iniziative di “Leggi per me”, progetto d’intesa tra il Comune di Perugia e l’Unione italiana ciechi e ipovedenti di Perugia. Il libro è disponibile anche in formato eBook.