Tutti gli uomini nascono liberi eppure il contesto sociale, il continente, il paese nel quale si nasce possono fare davvero la differenza. A Bakhita, infatti, la libertà viene sottratta per lunghissimi anni. Eppure quel “furto” non ha l’ultima parola e lei, oltre a riacquistare la libertà, scopre la libertà di essere sé stessa.
Il rapimento e la schiavitù
Nasce in Sudan, forse nel 1869, e tra gli 8-9 anni è rapita e venduta come schiava. È così impaurita che dimentica come si chiama e, per ironia della sorte, viene chiamata Bakhita, fortunata. Ogni volta che fugge viene ripresa e sempre nuovi negrieri le infliggono sofferenze di ogni genere. Il dolore fisico più grande è il tatuaggio: a Khartoum, quando è proprietà di un generale turco, viene incisa in tutto il corpo; se non bastasse, ogni taglio viene cosparso di sale affinché le cicatrici siano visibili per sempre. Bakhita resta tra la vita e la morte per giorni.
In Italia
Rimessa sul mercato, viene comprata da un agente consolare italiano, Calisto Legnani, il primo a trattarla come una persona. Bakhita rimane a casa di Legnani come domestica fino al 1884, quando, accompagnando i padroni in Italia, è “donata” a Maria Turina, la moglie di Augusto Michieli, un amico italiano. Qui Bakhita si occupa di Mimmina, la loro bambina di 3 anni.
Il “Paron”
È la primavera del 1885 quando grazie alla conoscenza con Illuminato Checchini, il fattore di casa Michieli, Bakhita incontra il vero “Paron”, come chiamerà per tutta la vita Gesù.
Maria Turina deve raggiungere il marito a Suakin e lascia in Italia la domestica e Mimmina, alloggiandole dalle Canossiane a Venezia. Qui Illuminato dona a Bakhita un piccolo crocifisso d’argento: «Nel darmelo», racconta la Santa, «lo baciò con devozione, poi mi spiegò che Gesù Cristo, Figlio di Dio, era morto per noi. Io non sapevo che cosa fosse, ma spinta da una forza misteriosa lo nascosi per paura che la signora me lo prendesse. Prima non avevo mai nascosto nulla perché non ero attaccata a niente. Ricordo che nascostamente lo guardavo e sentivo una cosa in me che non sapevo spiegare».
Il Battesimo e la vocazione religiosa
Le Canossiane fanno conoscere a Bakhita il Vangelo e lei chiede di essere battezzata. È il 1889 e la “padrona”, rientrata in Italia, la vorrebbe portare con sé in Africa. Bakhita si rifiuta, non vuole perdere il “Tesoro” che ha appena trovato ed essendo in Italia, dove non si fa mercato di schiavi, acquisisce per sempre ciò che è suo: la libertà.
Ricevuto il Battesimo, matura il desiderio di vivere per il suo unico “Paron”: entra tra le Canossiane diventando suor Giuseppina Bakhita. La gente che la incontra, e per la quale ha sempre una parola buona, la chiama “Madre Moretta”.
Col passare degli anni, risente delle brutalità (soprattutto calci e staffilate) patite da schiava: viene colpita da gravi forme di artrite e da asma bronchiale. Costretta su una carrozzella, passa intere ore in preghiera davanti al tabernacolo. Appena prima di morire, l’8 febbraio 1947, esclama: «Quanto sono contenta… la Madonna, la Madonna».