Continua la collaborazione tra don Alessio Fucile, esperto di arte, e il blog Shalom. Don Alessio ci guiderà per approfondire i momenti più importanti dell’anno liturgico attraverso delle bellissime opere d’arte che, oltre a suscitare in noi meraviglia per il loro splendore, possono aiutarci a comprendere meglio le Sacre Scritture e il messaggio di Gesù.
Don Alessio presenta oggi “La Trasfigurazione” di Raffaello, che si può ammirare alla Pinacoteca Vaticana, episodio che l’evangelista Marco narra nel Vangelo di domani.
Ben trovato. Oggi ho l’onore di presentarti la «Trasfigurazione», capolavoro assoluto di Raffaello e, insieme, sua ultima opera. Commissionata per la cattedrale di Narbonne dal cardinale Giulio de’ Medici, nel 1520 circa, oggi si trova nella Pinacoteca Vaticana.
I vangeli, subito dopo la Trasfigurazione, raccontano un episodio dall’inizio tenebroso: l’incontro con un indemoniato. Nessuno era stato capace di aiutare quel ragazzo tormentato dal male, nemmeno i nove apostoli che non avevano preso parte alla Trasfigurazione sul monte.
Raffaello, primo ed unico, si è cimentato con la rappresentazione dei due avvenimenti. In alto sfavilla la trasparenza luminosa del Cristo, immagine del destino di gloria che spetta a ogni uomo, in basso prevale il buio del dramma di tutti e di ognuno, dalla paura, dalla contrastata speranza. Il ragazzo posseduto dal male, come ogni vivente, chiede di essere salvato dalla sventura che lo opprime e lo devasta. Chi gli sta accanto vorrebbe aiutarlo, sanno che la sua salvezza è anche la loro. Ma solo Cristo può salvare, come mostra sulla sinistra l’evangelista, la mano tesa a indicare il Trasfigurato sul Tabor. Toni scuri, drammaticamente realistici, quasi caravaggeschi, caratterizzano la parte inferiore. In alto trionfa la luce. La luce è vocabolo di Cristo Salvatore. Per questo il suo volto risplende come il sole meridiano. Commuove l’idea che Raffaello abbia dedicato le ultime ore della sua vita cosciente, prima di cadere in coma e morire, a dipingere il volto di Cristo.
Il monte Tabor: il luogo della salita e della gloria
Sul monte, a sinistra i santi Felicissimo ed Agapito, a cui è dedicata la cattedrale di Narbonne. Celebrati il 6 agosto, giorno della festa della Trasfigurazione, appaiono inginocchiati a contemplare Cristo.
Il monte Tabor, tradizionalmente considerato luogo del prodigio, è rappresentato come un piccolo promontorio. Il posto ricorda l’importanza di salire e superare la legge di gravità. Legge che non è solo esterna, fisica, è anche purtroppo una tensione dell’uomo. Se non ti impegni nella vita cominci a scendere. Non è istintivo salire, è istintivo scendere! È difficile che una persona adulta senza darsi delle regole, senza verificarsi continuamente, salga. Le scalate, non attraggono, c’è bisogno di allenamento, sforzo, attenzione. La vita è salire in alto, senza mai dire “sono arrivato”. Non è forse vero che la vita è salire in alto, senza mai dire “sono arrivato”?
«Li condusse in disparte, loro soli» (Mt 17,1). Sulla montagna, infatti, vediamo solo tre apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Gli stessi saranno presenti nella defigurazione di Gesù al Getsemani. Prima della gloria occorre passare attraverso il buio della sofferenza, «Il chicco di grano cade per terra e marcisce; solo così porta molto frutto» (Gv 12,24). La vita è caratterizzata dal dolore, non esiste vita senza croce. Spesso l’uomo vuole fuggirla ma sempre questa lo precede e lo accompagna. Allora perché non accettare le prove e decidere di affrontarle.
La preghiera di Gesù: la fonte della trasformazione
La scelta di un luogo appartato dice il coraggio di prendere distanza dalla folla. Questo per ritrovare se stessi. Ovviamente è importante stare aggiornati, rendersi conto di quello che succede, ma c’è bisogno estremo di tempo di purificazione dello spirito. Momenti per stare soli con se stessi, per riflettere, pregare. Ciò richiede scelte decisive e concrete. Stare solo con me stesso, con il mio Dio per ossigenarmi, ritemprarmi, prima di scendere nuovamente tra la folla.
«Gesù mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto» (Lc 9,29). Durante la preghiera Gesù si trasfigura, le vesti si fanno di una bianchezza sfolgorante. Il bianco è simbolo di gloria. La preghiera riallaccia la comunicazione con Dio, è l’irruzione divina nell’anima, colloquio con il Padre. Gesù è l’uomo della preghiera. Spesso scocca nei momenti decisivi: nel Getsemani, prima della scelta degli Apostoli… Gesù vi si abbandona, sottraendosi agli uomini per colloquiare con il Padre e per questo cerca luoghi appartati, come la montagna.
La scena della Trasfigurazione
Raffaello rappresenta Gesù trasfigurato ammantato di luce e soprattutto con le braccia aperte, gesto che ricorda la crocifissione. «Per crucem ad resurrectionem». Alla sua destra Mosè con le tavole della Legge, alla sinistra Elia con in mano i libri delle profezie. Riassumono la storia di Israele: tutto l’Antico Testamento converge in Gesù, è in attesa di questo Dio che si farà uomo e che porterà la salvezza a tutti coloro che lo vorranno. È in mezzo a due uomini, così come sarà in mezzo a due criminali sulla croce.
Gli apostoli presenti erano «stremati dal sonno» (Lc 9,32). La scena si ripeterà nel Getsemani. Rappresenta il torpore, l’indolenza che spesso assale e blocca le facoltà vitali. Tra gli Apostoli solo Pietro guarda la scena, infatti è lui a descriverla in prima persona in una sua Lettera: «Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventatevi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando nella maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (2Pt 1,16-18).
Di colpo la voce si spegne. Gesù rimane solo, ritorna la condizione normale, il grigiore di ogni giorno, tempo carico di paure e angosce, lotta quotidiana per la sopravvivenza. Dopo quel magnifico anticipo di cielo i tre apostoli ritornano alla precarietà del quotidiano, nella contingenza dell’esistenza storica.
La scena del fanciullo ossesso
Nella parte inferiore la scena del fanciullo ossesso dal demonio, che il resto degli apostoli non riesce a liberare. Il fanciullo è identificabile dai movimenti innaturali degli occhi e dal fatto che è trattenuto dai familiari. In primo piano di spalle la madre del ragazzo indica agli apostoli il sopraggiungere di una nuova crisi. Straordinaria la raffinatezza con il quale Raffaello la rappresenta, soprattutto l’eleganza dell’acconciatura. Alcuni in questa figura hanno visto la Fede necessaria per ottenere il miracolo.
Il significato della Trasfigurazione
La Trasfigurazione è immagine della gloria futura che attende l’uomo. L’immortalità dell’anima per San Paolo non è semplice prolungamento dell’esistenza terrena, ma passaggio ad un’esistenza infinitamente superiore. A Lord Halifax, ministro degli esteri britannico, fecero questa domanda: «Che cosa prova di fronte alla morte?» Rispose con una battuta: «Oh, un’immensa curiosità». Resta sempre misterioso l’«aldilà» sul quale la nostra curiosità non è mai soddisfatta. Gesù ai suoi apostoli, malinconici per il pensiero della sua prossima morte, dice: «Vado a prepararvi un posto. Tornerò a prendervi con me, in modo che la dove sono io, ci siate anche voi» (Gv 14, 2-3).
Grazie per la tua attenzione.