Testi tratti dal Messalino “Sulla Tua Parola” settembre-ottobre 2024
30ª domenica del Tempo Ordinario (B)
2ª sett. salt.
PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Geremìa (Ger 31,7-9)
Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito». – Parola di Dio.
Commento alla prima lettura
L’esilio e la deportazione in terra straniera sono sempre visti, nel linguaggio biblico, come un castigo. Il termine però è positivo se è vero che la punizione serve per correggere, ci viene data da una persona che ci ama (il genitore nei confronti dei figli) e che vuole il nostro vero bene. E Dio è realmente un genitore, lo afferma la lettura del profeta Geremìa di oggi: «Io sono un padre per Israele». Non possiamo mai dubitare della bontà del Padre che è nei cieli: egli ha creato per amore il cielo e la terra, ha creato noi uomini per amore e per amore ha “inventato” la sublime idea dell’incarnazione del Verbo per trarci fuori dalle tenebre del peccato e dalla separazione da lui. Per questo motivo anche quando possiamo sentire il cielo chiuso e ci sembra che Dio ci abbia abbandonato, dobbiamo far risuonare nel nostro cuore ed affermare con tutta la fede possibile e immaginabile che il nostro Dio si chiama Padre e quindi ha cura di noi figli bisognosi. Di fronte alla bontà del Padre, diceva santa Teresa di Gesù Bambino, «non c’è che da tacere, piangere di riconoscenza e di amore».
SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei (Eb 5,1-6)
Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek». – Parola di Dio.
Commento alla seconda lettura
Cosa significa essere sacerdoti nella Chiesa? Significa offrire al Padre il corpo sacrificato del Figlio, presentarlo a lui per supplicare la liberazione dal male, fare presente nel mondo il dono sublime della salvezza e l’atto riparatore del Cristo. Entrando così nel mistero trinitario, Dio poi ci chiede di vivere la sua stessa vita nutrendoci del suo corpo santissimo. Coloro che sono chiamati al servizio dell’altare si identificano pienamente alla loro missione, “spariscono” dentro il loro ruolo, fanno presente Cristo al mondo e continuano poi la loro Messa durante il giorno, compiendo gli atti della carità con le persone loro affidate. Gesù sommo sacerdote si fa presente nei nostri sacerdoti, dal Papa all’ultimo parroco di campagna, perché così egli ha voluto. Pur essendo Dio, si è fatto uomo e compatisce le nostre debolezze meglio di chiunque altro, e con la Messa tutto trova il suo compimento, dato che egli stesso ci presenta al Padre lavati nel suo sangue prezioso. Come non fidarsi di lui, come non correre tra le sue braccia gettando via da noi ogni preoccupazione e qualsiasi altro pensiero?
VANGELO DEL GIORNO
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,46-52)
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. – Parola del Signore.
Commento al Vangelo del giorno
Gèrico era una città storica per Israele. Tutti gli israeliti ricordavano bene l’episodio avvenuto secoli prima della venuta del Signore: nella conquista della terra santa, dopo i quarant’anni nel deserto, Giosuè occupò la città considerata inespugnabile con un semplice suono di tromba. La potenza di Dio, così, si manifestò nel far crollare mura fortificate in un istante solo; qui Gesù, sempre a Gèrico, apre gli occhi a un cieco. Gèrico è la città dei grandi interventi del Salvatore, affinché prima gli uomini vivano nella terra promessa (Giosuè) e poi aprano gli occhi sulla realtà divina (Bartimèo). La cecità è simbolo della mancanza di fede e delle tenebre interiori; una volta crollato il muro e avendo Bartimèo visto improvvisamente il volto del Cristo, ecco che non vuole lasciarlo andare: «Lo seguiva lungo la strada», è scritto. Il cieco non si accontenta di avere avuto di nuovo la vista, ma la vuole usare bene, vuole vedere sempre il volto del suo Salvatore e stare sempre con lui, non abbandonarlo più. Se fosse così anche per noi! Vedere Gesù nella visione interiore del cuore, nell’Eucaristia, e andare poi ovunque egli va, senza lasciarlo mai più!