Una mano tesa
La Quaresima si avvicina e la pia pratica che ne è protagonista è la Via Crucis.
Una via che pone non pochi interrogativi, primo tra tutti: perché Gesù accetta di caricarsi della croce? Lui sa di essere stato condannato da innocente; sa che è stato testimoniato il falso contro di lui. Allora… perché?
Un “perché” che attraversa tutte le malattie, i lutti, le ferite, le sofferenze che ci investono senza nostra colpa. Un “perché” che può condurre alla ribellione, alla disperazione…
Eppure, nel buio più profondo può giungere la luce di Colui che ci tende la mano e viene in aiuto. Gesù può tenderci quella mano perché lui stesso ha attraversato il dolore. Il Figlio ha accettato di caricarsi della croce per essere con noi nei calvari quotidiani; ha attraversato il mistero della morte, giungendo a sentirsi “abbandonato” dal Padre, affinché nessuno dei figli del Padre potesse più sentirsi solo e abbandonato sulla via del dolore.
Il cristianesimo non è una “fabbrica” del dolore; Gesù non abbraccia liberamente la croce perché gli piace soffrire, ma accetta di caricarsi di quel peso per essere con noi sempre: nella gioia e nel dolore. Per insegnarci a portare la croce senza esserne distrutti.
Oggi o domani?
«Se fosse per noi, non moriremmo mai, non invecchieremmo mai, non avremmo mai un problema, aspetteremmo sempre “domani” per convertirci.
I primi pagani, nei primi secoli a Roma, venivano chiamati dai cristiani “cras”, parola latina che vuol dire “domani”: domani mi confesso, domani vado in chiesa, domani inizio a vivere il Vangelo, domani… Quand’è il momento migliore per perdere l’affetto più caro nella tua vita? Sicuramente domani; ma quando arriva quel “domani”, quando quella croce arriva, chi ti indicherà la via, chi ti darà il viatico, chi ti accompagnerà in quel dolore?
Gesù davanti alla croce non pensa male del Padre, non dice: “Questa proprio non la meritavo”, ma dice: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!” (Mt 26,39). La sofferenza e la croce spaventano e anche Gesù sperimenta la paura, ma non si ribella: accetta pienamente la croce, con fiducia, con cuore di figlio, perché sa che suo Padre è buono, crede che provvederà e lo scioglierà dall’angoscia della morte» (Don Pierangelo Pedretti, Via Crucis. Il dono più prezioso, Editrice Shalom, codice 8076).
Qual è la mia croce?
Di fronte a Gesù che porta la sua croce, chiediamogli di capire qual è la nostra. Può accadere, infatti, di averla sepolta così nel profondo di noi stessi, da non sapere nemmeno quale sia. E, una volta averle dato il nome «chiederemo a Gesù la forza di abbracciarla senza lasciarcene scandalizzare. E allora, solo allora, sperimenteremo una tenerezza enorme, la dolcezza dello Spirito Santo; la croce rifulgerà e scopriremo che Dio è davvero il Padre che non abbandona i suoi figli.
Quando una fatica, una sofferenza, un dolore, una perdita, un problema arriva nella nostra vita, abbiamo un’occasione per farci un po’ più piccoli, un po’ più umili e per scoprire che la vera vita è un’altra, che la vita è Gesù. Vista in quest’ottica, la croce che ciascuno di noi porta è per la vita, mai per la morte, così come lo è stata per Gesù, il nostro Maestro» (Don Pierangelo Pedretti, Via Crucis. Il dono più prezioso, Editrice Shalom, codice 8076).