Il 25 marzo di ogni anno, il mondo si ferma per commemorare la Giornata internazionale in memoria delle vittime della schiavitù e del commercio degli schiavi transatlantici. Istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, questa giornata non è solo un momento di ricordo, ma un monito potente contro l’orrore e l’ingiustizia che hanno segnato la storia dell’umanità.
Un ricordo, un monito
Per oltre quattrocento anni, un fiume di sofferenza ha attraversato l’Atlantico. Più di quindici milioni di esseri umani – uomini, donne e bambini – sono stati strappati con violenza dalle loro case, dalle loro famiglie, dalla loro terra, per diventare merce in un tragico commercio transatlantico di schiavi. Questa fu la più grande migrazione forzata della storia, un capitolo oscuro intriso di brutalità e disumanità inimmaginabili. Milioni di persone, provenienti per la maggior parte dalle coste africane, furono condotte con la forza nelle Americhe e nelle isole caraibiche, private della loro dignità e dei loro diritti fondamentali.
Questa Giornata internazionale offre a tutti noi l’opportunità di onorare e ricordare coloro che hanno sofferto e sono morti per mano di questo sistema spietato. È un momento per riflettere sul dolore inflitto, sulle vite spezzate, sulle culture annientate dalla barbarie della schiavitù. Ma non solo. Questa ricorrenza mira anche a sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli persistenti del razzismo e dei pregiudizi, le cui radici affondano profondamente in questo passato di sfruttamento e disumanizzazione.

Un faro di resilienza
In questo giorno di memoria, un nome risplende come un faro di speranza e resilienza in mezzo all’orrore: santa Giuseppina Bakhita. Nata in un villaggio del Sudan intorno al 1869, in una famiglia serena, la sua infanzia fu brutalmente interrotta all’età di 8 anni: venne rapita e sottratta ai suoi. Un trauma così profondo da farle dimenticare il suo stesso nome; furono i suoi rapitori a darle il nome di Bakhita, che in arabo significa “fortunata”. Ma per la piccola Bakhita, la fortuna sembrava un miraggio lontano mentre veniva venduta e rivenduta nei mercati africani di schiavi, patendo sofferenze fisiche e morali indicibili, crudeli tatuaggi e lavori forzati.
La sua storia è una testimonianza straziante della disumanità della schiavitù. Bakhita conobbe padroni crudeli, ma conobbe anche la bontà quando, nel 1882, fu comprata a Kartum dal console italiano Calisto Legnani. Finalmente, nel 1885, seguì Legnani in Italia, un nuovo mondo che le avrebbe offerto la possibilità di un destino diverso. Ancora una volta cambiò padrone, diventando la bambinaia della figlia di Augusto Michieli in Veneto. Fu qui che, entrando in contatto con le Suore Canossiane di Venezia, Bakhita scoprì la fede cristiana. Il 9 gennaio 1890 chiese il Battesimo, prendendo il nome di Giuseppina. Il desiderio di dedicare la sua vita a Dio crebbe in lei, e nel 1893 divenne suora canossiana. Suor Giuseppina visse a Schio (Vicenza), svolgendo per cinquant’anni compiti umili con generosità e semplicità, amata da tutti per la sua bontà e la sua fede, tanto da essere chiamata affettuosamente “suor Moretta”.
Diciamo no al razzismo
La vita di santa Giuseppina Bakhita è un potente monito contro l’orrore della schiavitù e un simbolo di redenzione e speranza. La sua storia personale rispecchia la sofferenza di milioni di vittime del commercio transatlantico, ricordandoci che dietro i numeri vi erano storie individuali di dolore, perdita e resilienza.
Ricordare le vittime, come santa Giuseppina Bakhita, ci spinge a rinnovare il nostro impegno per un mondo in cui la libertà e la dignità di ogni essere umano siano inviolabili. La sua vita, da schiava a santa, ci insegna che anche dalle esperienze più oscure può fiorire la luce della speranza, del perdono e dell’amore.
In questo 25 marzo, facciamo tesoro della sua storia e rinnoviamo il nostro impegno contro ogni forma di schiavitù e discriminazione.
