Oggi, 25 marzo, si celebra la Giornata internazionale in memoria delle vittime della schiavitù e del commercio degli schiavi transatlantici, istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Per oltre 400 anni, più di 15 milioni di uomini, donne e bambini sono stati vittime del tragico commercio transatlantico di schiavi che fu la più grande migrazione forzata della storia e una fra le più disumane: coinvolse milioni di persone provenienti per la maggior parte dalle coste Africane e diretti nelle Americhe e nelle Isole Caraibiche.
Oggi ricordiamo e onoriamo queste vittime; oggi riflettiamo sui pericoli del razzismo e dei pregiudizi.
Insieme contro il razzismo
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in un Messaggio dedicato a questa Giornata, afferma: «C’è molto che sappiamo sul commercio transatlantico degli africani ridotti in schiavitù, e oggi è un giorno in cui ricordiamo: il crimine contro l’umanità, il traffico di esseri umani senza precedenti, le degradanti transazioni economiche e le indicibili violazioni dei diritti umani.
Non conosceremo mai ogni atto di resistenza, grande o piccolo, che lentamente ma inesorabilmente ha trionfato sull’ingiustizia, la repressione e la schiavitù. Ma questi resoconti sono cruciali per la nostra comprensione di un passato la cui eredità più perniciosa e persistente continua a rovinare il nostro presente: il razzismo.
La Giornata Internazionale in Memoria delle Vittime della Schiavitù e della Tratta Transatlantica degli Schiavi è un momento per conoscere e riflettere su tali storie. Per rendere omaggio ai milioni di africani strappati dalle loro terre e comunità. E per schierarsi in solidarietà contro il razzismo da ogni parte. Oggi, le persone di origine africana continuano a confrontarsi con la discriminazione razziale, l’emarginazione e l’esclusione. In questa Giornata Internazionale, uniamoci contro il razzismo e costruiamo insieme delle società fondate sulla dignità, l’uguaglianza e la solidarietà».
La storia di Bakhita
«Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa», queste le parole di santa Giuseppina Bakhita che, con la luce di Cristo, sa illuminare anche il momento più buio della sua vita. Nata intorno al 1869 in un villaggio africano nel Darfur, viene rapita e venduta a mercanti di schiavi: «Avevo nove anni circa, quando un mattino andai a passeggio nei nostri campi. A un tratto [sbucano] da una siepe due brutti stranieri armati. Uno estrae un grosso coltello dalla cintura, me lo punta sul fianco e con una voce imperiosa, “Se gridi, sei morta, avanti seguici!”».
Inizia per Bakhita un’esistenza di privazioni, di frustate e di passaggi di padrone in padrone. Poi viene tatuata con rito crudele e tribale: 114 tagli di coltello lungo il corpo. Giunge finalmente la quinta e ultima compravendita della giovane schiava. La acquista un agente consolare italiano, Callisto Legnami. Quando il funzionario italiano lascia Khartoum e torna in patria, Bakhita diventa la bambinaia di Alice, la bambina di una coppia di amici del console.
Ed ecco l’incontro con Cristo: la mamma di Alice decide di mandare figlia e bambinaia in collegio. La giovane viene ospitata nel Catecumenato diretto dalle Suore Canossiane di Venezia (1888). Nel 1893 entra nel noviziato delle Canossiane. Cuoca, sacrestana e portinaia sono le sue umili mansioni. Donna di preghiera e di misericordia, conquista la gente di Schio, dove rimane per ben 45 anni. La suora di “cioccolato” cattura per la sua bontà, la sua gioia, la sua fede. Muore l’8 febbraio 1947. Santa Giuseppina ha ancora molto da dire al nostro tempo in cui sono oltre 40 milioni le vittime di tratta, tra queste la maggioranza sono donne.
La nostra goccia
Spesso si è tentati di pensare che problemi come quello del razzismo non ci riguardino o meglio che noi, nel nostro piccolo, possiamo fare poco: santa Teresa di Calcutta ci ricorda, però, che «quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno». A volte basta un sorriso, un gesto di accoglienza, un modo semplice, piccolo, per dire solidarietà e fratellanza.
Il razzismo non è un problema di ieri, «il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato. Le espressioni di razzismo rinnovano in noi la vergogna dimostrando che i progressi della società non sono assicurati una volta per sempre» (papa Francesco). Se vuoi, condividi con noi il tuo pensiero circa il razzismo; raccontaci una storia di fratellanza.