Una lotta per avere il corpo di Mosè. L’orgoglio di Satana vinto con l’umiltà da san Michele Arcangelo. Questo, tra le altre cose, leggiamo nella Lettera di Giuda. Scopriamo di più.
La lettera di Giuda
Giuda Taddeo, uno dei dodici apostoli, non è solo il fratello dello stimatissimo Giacomo, ma anche “fratello”, nel senso di cugino, del Signore. Il titolo di “fratello” nella Bibbia, infatti, è talvolta esteso – come in questo caso – anche alla cerchia dei cugini. Dopo l’Ascensione di Cristo, san Giuda Taddeo si sentì spinto a portare a tutti la buona notizia. Evangelizzò la Mesopotamia e la Libia e in uno di questi viaggi scrisse una breve lettera. Giudicata dalla Chiesa «piena della forza e della grazia del cielo», questa lettera è ritenuta di ispirazione divina e quindi inserita nel numero delle Sacre Scritture del Nuovo Testamento. Con essa san Giuda intendeva mettere in guardia i cristiani, ormai diffusi in più parti della terra, dai falsi maestri che si erano infiltrati in alcune comunità. Pur essendo breve, è un documento carico di grande spiritualità e di insegnamenti tanto profondi e si rimane subito avvinti dal suo contenuto; ogni frase, ogni espressione, ogni parola è un monito, una legge di amore divino, un invito a seguire ciecamente le vie del Signore.
La lotta tra san Michele e il demonio
Giuda Taddeo aveva una grandissima venerazione per l’Arcangelo Michele. Nella sua lettera ricorda un fatto molto significativo dal punto di vista teologico. Un fatto che gli ebrei tramandano cioè la difesa da parte dell’Arcangelo Michele del corpo di Mosè dalle mani del diavolo, che voleva appropriarsene. Satana, dopo la morte di Mosè, voleva prendere il suo corpo perché venisse adorato come dio al posto del vero Dio. Vediamo così come il Principe della Milizia Celeste abbia una profonda relazione con la sorte degli uomini dopo la loro morte corporale. Il giusto, anche nella morte, è protetto dal Signore attraverso il suo Angelo, che gli tiene lontano Satana.
Ti condanni il Signore!
Anche in questa contesa per impadronirsi del corpo di Mosé, l’arcangelo Michele non osa accusare Satana con parole offensive, preferisce, infatti, lasciare a Dio il compito di giudicare. I maestri dell’errore, dai quali Giuda Taddeo nella sua lettera mette in guardia, invece, fanno l’opposto: presumono di sé, giudicano la Parola di Dio, preferiscono i loro sogni alla tradizione. Michele invece non ha la stoltezza neanche di giudicare Satana, gli dice infatti: «Ti condanni il Signore!». I falsi maestri invece si sostituiscono a Dio con arroganza, preferendo i giudizi personali a quelli della Tradizione apostolica. Michele invece è l’esatto contrario dell’arroganza.
L’impronta data da Giuda Taddeo è molto chiara. Ma il suo non è un giudizio di condanna, è piuttosto un fraterno avvertimento: dobbiamo essere coscienti che la nostra vita è costantemente contesa fra il Male e il Bene e che solo in Dio troviamo la forza per vincere le tenebre. E tu conoscevi questo episodio raccontato nella Lettera di Giuda? Scrivilo nei commenti.