“La Trinità” di Masaccio: un capolavoro del Rinascimento nella Basilica di Santa Maria Novella

“La Trinità” di Masaccio: un capolavoro del Rinascimento nella Basilica di Santa Maria Novella

La trinità del Masaccio

Continua la collaborazione tra don Alessio Fucile, esperto di arte, e il blog Shalom. Don Alessio ci guiderà per approfondire i momenti più importanti dell’anno liturgico attraverso delle bellissime opere d’arte che, oltre a suscitare in noi meraviglia per il loro splendore, possono aiutarci a comprendere meglio le Sacre Scritture e il messaggio di Gesù.

Don Alessio presenta oggi l’affresco “La Trinità” di Masaccio, che si può ammirare nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze.

Masaccio, un genio del Rinascimento prematuramente scomparso all’età di 27 anni, ci ha lasciato in eredità la sua ultima e straordinaria opera: “La Trinità”, realizzata intorno al 1426. Quest’affresco, situato su una parete della Basilica di Santa Maria Novella a Firenze, rappresenta il dogma della Trinità attraverso elementi umani, svelando il mistero divino mediante la sofferenza di Gesù.
Il dipinto è un manifesto dei principi rinascimentali, tanto che osservarlo dà l’impressione di trovarsi di fronte a un varco che si apre oltre lo spazio fisico della chiesa. L’uomo, misura del creato, si muove in un contesto reale e misurabile. Le relazioni spaziali tra figure umane e architettura sono corrette e credibili, un trionfo della prospettiva.


La scena è ambientata all’interno di una struttura che richiama gli archi di trionfo romani, con la loro volta a cassettoni, le colonne ioniche e l’arco a botte. Per i contemporanei di Masaccio, l’opera fu una novità assoluta, poiché per la prima volta si abbandonava il tradizionale sfondo oro o celeste a favore di uno spazio architettonico realistico.
Al centro della composizione prospettica troviamo Gesù, punto di riferimento per ogni uomo alla ricerca di senso e di un proprio posto nel mondo. Dio Padre, raffigurato come un uomo maturo e a piedi nudi, si erge su una piattaforma, sostenendo il legno della croce. La sua aureola, vista in scorcio, è un simbolo dell’irradiazione divina. Con le braccia distese, Dio Padre sembra donare suo Figlio per la salvezza dell’umanità, come ricorda l’evangelista Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito”.

Il gesto di Dio Padre rivela anche l’intimità profonda che lo lega a Gesù, partecipando alla sua sofferenza attraverso un legame indissolubile. Padre e Figlio condividono la stessa statura e sono gli unici a non essere soggetti alle regole della prospettiva, simboleggiando il Divino e l’eternità, al di là delle leggi del tempo e dello spazio. La posizione di Dio Padre è stata interpretata da alcuni come un richiamo alla figura del sacerdote che, durante la Messa, solleva l’Eucarestia.
Tra le figure divine, la colomba rappresenta lo Spirito Santo, completando la rappresentazione della Trinità e sottolineando la sacralità dell’intera composizione.
Nel momento cruciale in cui Gesù “Chinato il capo effuse lo spirito”, quello Spirito Santo promesso da Lui stesso, si manifesta come dono eterno ai discepoli. Questo evento è simbolicamente rappresentato nell’affresco da Masaccio, dove la presenza dello Spirito Santo è palpabile e promessa per l’eternità.


Accanto alla croce, Maria si distingue, guardando direttamente verso lo spettatore. Questo sguardo invita a una contemplazione profonda dell’evento e a comprendere l’immensità dell’amore di un Dio che sacrifica la propria vita. Di fronte a lei, Giovanni Evangelista simboleggia l’umanità che è chiamata a riconoscere in Maria una madre spirituale, un legame rafforzato nel momento in cui Gesù affida sua madre al discepolo.
Più in basso, i committenti dell’opera, Betto di Bartolomeo e sua moglie, sono raffigurati inginocchiati e in preghiera, testimoni umili di un evento divino. Sotto di loro, un altare illusionistico e uno scheletro inciso con le parole: “Io fu già quel che voi siete, e quel ch’io son voi anche sarete” – un potente memento mori che ci ricorda la transitorietà della vita umana e l’importanza di vivere con consapevolezza e significato, in vista dell’eternità.

Questo scheletro allude anche alla tradizione che vuole Gesù crocifisso sulla tomba di Adamo, simbolizzando con la sua morte la redenzione dell’intero genere umano.
Le figure sono collegate da un sapiente uso alternato dei colori rosso e blu, e sono disposte secondo uno schema triangolare, che rimanda al dogma trinitario. La Croce diventa così il punto di incontro tra il divino e l’umano, il luogo dove il Padre tocca la nostra storia personale e attraverso cui lo Spirito Santo viene promesso e donato, rendendoci capaci di amare con la stessa intensità divina.


L’amore, secondo Masaccio, non è costrizione ma nasce spontaneamente in un contesto di libertà e fiducia. La fede non è solo dovere e rispetto delle regole, ma una scelta fondamentale di amore verso Dio. Questo amore ci inserisce nella vita trinitaria e ci abilita ad amare come Lui ama, diventando così il percorso verso la salvezza.
Masaccio suggerisce un percorso ascensionale per raggiungere la salvezza: partendo dallo scheletro che rappresenta la vita mortale, passando per i committenti che invitano alla relazione con Dio attraverso la preghiera, fino ad arrivare alla vita divina, rappresentata dalla Trinità, grazie all’intercessione dei santi, della Vergine e di San Giovanni.


“La Trinità” di Masaccio: un capolavoro del Rinascimento nella Basilica di Santa Maria Novella

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