Liturgia del giorno: 25 dicembre 2021

Liturgia del giorno: 25 dicembre 2021

Santo Natale

Testi tratti dal Messalino “Sulla Tua Parola” novembre-dicembre 2021

Natale del Signore (s)
propria


Messa vespertina nella vigilia

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaìa (Is 62,1-5)
Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te. – Parola di Dio.

Commento alla prima lettura

Più volte, nell’Antico Testamento, il rapporto tra Dio e il suo popolo è descritto in termini di “alleanza”. Di solito con questo termine si intende un patto tra due popoli, che si alleano tra loro per affrontare un nemico comune. Nella Sacra Scrittura il termine di paragone più usato invece è quello dell’alleanza che si instaura tra l’uomo e la donna quando si sposano, unione molto più intima e profonda di quella che ci può essere tra due popoli. Dio chiama sé stesso, alcune volte, “Sposo”, mentre Israele è la sposa. Anche in questo brano di Isaìa Dio si presenta come Sposo e dichiara alla sua sposa che non sarà più abbandonata. Nel Vangelo, poi, ancor più chiaramente Gesù si paragona allo sposo: «Possono forse gli invitati digiunare mentre lo sposo è con loro?» (cfr. Mc 2,19). E la sposa chi è? Non più un popolo, in senso generale, ma le singole persone. In Cristo, dunque, l’alleanza è molto più intima e profonda di un qualsiasi patto e difatti si chiama “nuova alleanza”, firmata con il Sangue. Nell’incarnazione del Verbo, nel Natale, tale alleanza viene stipulata una volta per sempre.


SECONDA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli (At 13,16-17.22-25)
Paolo, [giunto ad Antiòchia di Pisìdia, nella sinagoga,] si alzò e, fatto cenno con la mano, disse: «Uomini d’Israele e voi timorati di Dio, ascoltate. Il Dio di questo popolo d’Israele scelse i nostri padri e rialzò il popolo durante il suo esilio in terra d’Egitto, e con braccio potente li condusse via di là. Poi suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri”. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele. Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”». – Parola di Dio. 

Commento alla seconda lettura

Per arrivare alla proclamazione del messaggio centrale, sovente lo stile di predicazione degli Ebrei era quello di ripercorrere tutta la storia sacra. Paolo era un ex fariseo e un grande predicatore; anch’egli usa il metodo di fare memoria dei grandi avvenimenti del passato per arrivare poi al momento centrale della nascita di Gesù. Dio non ha rinnegato o cancellato gli eventi della storia sacra, ma ha ricapitolato tutto in Gesù; in lui si compiono tutte le speranze messianiche ed è lui il punto ultimo della storia. Questo doveva convincere gli uditori e facilitarli ad accogliere la verità. Sappiamo poi come andarono le cose: alcuni si aprirono e si fecero cristiani, altri invece si irrigidirono e non vollero accogliere la voce dello Spirito. Il contenuto della predicazione paolina non è campato per aria, come se fosse frutto delle sue capacità carismatiche di predicatore o di presunte rivelazioni, ma si basa su fatti concreti, verificabili, e quindi può soddisfare il più tenace razionalista. Ma poi ci vuole anche la fede, quel salto necessario per aprire il cuore. Fede e ragione non sono in contrasto; storia e profezia vanno a braccetto.


VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 1,1-25)
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa «Dio con noi». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù. – Parola del Signore.

Commento al Vangelo

La genealogia ci dice che Giuseppe discende dal re Davide. Da quel momento si interrompe la stirpe davidica, perché Gesù nasce da Dio e ha per madre la Vergine Maria, che è di stirpe levitica, sacerdotale. In Cristo si riassume così tutta la regalità di Israele e la pienezza del sacerdozio: egli è il vero re e l’unico sommo sacerdote. Matteo mette bene in luce la nascita dal grembo verginale di Maria, perché sia ben chiaro che il Salvatore riceve tutta la sua umanità solo da Maria Vergine. Il rapporto tra Gesù e Maria è straordinario: ella dice al suo Dio le parole «Figlio mio», che sono le precise parole che il Padre, dall’eternità, dice al suo Verbo divino. La Madonna non “ruba” queste parole al Padre, perché realmente Gesù è figlio suo, pienamente. Ma la cosa straordinaria è che Gesù dirà, a pochi mesi dalla nascita, la parola «madre mia!» alla Madonna. Non ci sembri una cosa normale questa, perché in questo rapporto di amore madre-figlio sta tutta la ricchezza della vita sia in questo tempo che nell’eternità. Ma siccome Gesù è Dio-con-noi, ora in questo dialogo ineffabile siamo chiamati anche noi a entrare. Gesù rivolgerà la sua parola anche a noi: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (cfr. Gv 15,15).


Messa della notte

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaìa (Is 9,1-6)
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Màdian. Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti. – Parola di Dio.

Commento alla prima lettura

Al tempo di Isaìa, la zona della Galilea è sotto la minaccia continua degli Assiri; sono giorni difficili e bui. Ma proprio da quella terra una luce è destinata a rifulgere. Sarà forse una rivalsa militare? Sarà l’aiuto di eserciti amici? Nient’affatto: sarà la nascita di un bambino. A lui vengono dati dal profeta dei titoli onorifici grandiosi: «Consigliere mirabile», «Dio potente», «Padre per sempre» e «Principe della pace». Non è possibile che tutto questo si possa dire di un bambino normale, per quanto nobile o di famiglia valorosa possa essere: qui si parla di un bambino diverso da tutti gli altri, il cui regno viene annunciato eterno. Un pargolo di pochi giorni è quanto di più debole e fragile vi sia, eppure i titoli che gli vengono dati sono magnificenti e qui sta la rivelazione di Dio: egli prende carne mortale in un piccolo per percorrere tutte le tappe della vita umana, per essere solidale con tutti gli uomini. Conoscerà la fame, la stanchezza, l’esilio e le persecuzioni, ma a tempo debito consegnerà al Padre il regno ricostituito, purificato dal proprio sacrificio.


SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito (Tt 2,11-14)
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. – Parola di Dio.

Commento alla seconda lettura

L’apostolo Paolo scrive al discepolo Tito, che è vescovo nell’isola di Creta. Gli parla di chi sia Gesù, quel Gesù che entrambi seguono, servono e amano. Chi è per loro Gesù? In queste poche righe, di alto valore spirituale e quasi mistico, l’anziano Paolo si effonde in un vero atto di amore nei confronti di Cristo. Gesù è l’apportatore di salvezza, perché «ha dato sé stesso per noi». Non dobbiamo mai dimenticare il dono che il Signore ha fatto di sé stesso, in maniera totale, non per l’umanità in senso astratto, ma «per noi», per me e per te. Egli ci dà il suo Corpo, il suo Sangue, la sua anima e la sua divinità. Ma l’amore non è mai di una parte sola: esige l’accoglienza e la risposta: il «popolo puro» da lui formato è «pieno di zelo per le opere buone». L’amore nostro per Gesù si dimostra non con le parole, ma con le opere buone, ossia una vita spesa tutta per lui. L’amore vuole ed esige l’amore. Vivere al di fuori di questa dimensione significa non conoscere Gesù, perché la vita divina è puro coinvolgimento. Questo vale per Tito, vescovo, come per ogni uomo che voglia dirsi cristiano.


VANGELO

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,1-14)
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». – Parola del Signore.

Commento al Vangelo

La grande gioia, che sarà di tutto il popolo, è nell’annuncio dell’angelo: «Oggi è nato per voi il Salvatore». È un fatto, un avvenimento, non qualcosa su cui ragionare. Appaiono miriadi di angeli che esultano per questo evento e i pastori non fanno altro che unirsi a questa liturgia. Cielo e terra ora sono uniti per sempre, perché Dio è disceso e ha fatto di questi due mondi un’unica realtà. Con la nostra intelligenza forse avremmo cercato un altro Dio, non un bambino. Eppure ora Dio è in quel bambino e questa è la buona notizia che rimarrà tale fino alla fine del mondo. L’oggetto dell’annuncio della Chiesa infatti, generazione per generazione, rimane il medesimo: «Oggi il Salvatore è qui». Non siamo più soli, perché ogni solitudine è vinta e anche il peccatore peggiore può tornare nell’amicizia di Dio se crede, accoglie, si pente, adora. E non è difficile adorare Dio in Cristo: occorre solo fede, quella fede che dimostrarono i pastori andando immediatamente da Gesù per vederlo e amarlo. I pastori erano gli ultimi della scala sociale di Israele, ma il Dio che si rivela sceglie proprio loro per manifestarsi: ai poveri per primi è annunziata la buona novella.


Messa dell’aurora

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaìa (Is 62,11-12)
Ecco ciò che il Signore fa sentire all’estremità della terra: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Li chiameranno Popolo santo, Redenti del Signore. E tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata». – Parola di Dio.

Commento alla prima lettura

Il capitolo 62 del libro di Isaìa vede la città di Gerusalemme come la “sposa” del Signore. Il tema nuziale è molto presente nella Sacra Scrittura: Dio è lo sposo e il popolo santo la sposa. Non si tratta quindi di un rapporto distante o solamente legale: non c’è niente di più intimo, profondo e duraturo dell’amore vero tra l’uomo e la donna nel matrimonio. Dagli estremi confini della terra sorge dunque il grido di Dio che si rivolge alla sua sposa: con l’arrivo del Salvatore la città non potrà più dirsi abbandonata, ma al contrario sarà santa e redenta. Se prima dell’Incarnazione tale appello poteva sembrare solo un annuncio, ora nel Natale esso diventa realtà: Gesù si dona come vero Sposo dell’anima, perché è uomo in carne e ossa; uomo nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9). Amare Gesù è allora divenire partecipi della sua divinità, messa ora “a disposizione” in virtù della sua nascita, morte e risurrezione. Dobbiamo quindi oggi meditare anche sulla Passione e sul dono dello Spirito Santo, perché il Mistero di Cristo si accoglie nella sua unità.


SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito (Tt 3,4-7)
Figlio mio, quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna. – Parola di Dio.

Commento alla seconda lettura

Il tema della misericordia di Dio, della gratuità della sua Grazia, è caro all’apostolo Paolo. Noi non ci salviamo per le opere giuste da noi compiute, perché deve essere chiaro che il nostro agire cristiano è comunque sospinto dalla grazia divina, che il Salvatore effonde «su di noi in abbondanza». È evidente che dobbiamo compiere le opere buone, le quali a volte ci costano impegno e fatica, ma che hanno piena efficacia quando provengono da un cuore umile che, prima di compiere le opere, ha accolto la presenza di Gesù. Alla fine, l’uomo in grazia di Dio, qualunque cosa faccia, la fa come opera buona. Paolo era un accanito oppositore dei cristiani, un «violento», come lui stesso si definisce. Ha avuto bisogno dell’incontro con la grazia per capire che stava sbagliando tutto e così, una volta ristabilito nello Spirito di Dio, ha iniziato a compiere tutte le sue opere giuste e sante. Questo è il principio che inculca negli altri, perché ha conosciuto quel che significa passare dalle tenebre alle luce. Egli si sente un debitore, amato gratuitamente.


VANGELO

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,15-20)
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. – Parola del Signore.

Commento al Vangelo

Siamo davanti alla prima evangelizzazione della storia cristiana. I pastori hanno avuto l’annuncio di andare a vedere il Salvatore, nato da qualche parte a Betlemme, e vanno senza indugio, perché l’aveva detto un angelo del cielo. Credono senza dubitare. Questa è l’obbedienza della fede: immediata, sicura. Vanno, adorano, credono. Tornati nei loro luoghi, non riescono a tacere ciò che hanno visto, suscitando un grande stupore negli uditori. Lo “schema” che osserviamo è il seguente: 1) ricevono l’annuncio; 2) vedono Gesù; 3) lo dicono a tutti. Questa tripartizione è propria di tutti gli evangelizzatori che poi verranno nella Chiesa. Essi accolgono la notizia della presenza di Gesù nel mondo dai genitori o da chi, per primo, parla loro del Signore; lo cercano, lo pregano, lo trovano, lo conoscono e lo accolgono, ne fanno esperienza. Poi di conseguenza (terzo tempo) sentono il bisogno di parlarne agli altri, perché anch’essi, a loro volta, corrano dal Signore e lo incontrino. Quella notte i pastori non si aspettavano certo di essere invitati a entrare in questo evento di grazia, ma lo accolsero subito con fede e gioia perché erano semplici e puri di cuore. Siamo tutti loro debitori!


Messa del giorno

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaìa (Is 52,7-10)
Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio. – Parola di Dio.

Commento alla prima lettura

Gerusalemme è una città distrutta. Il grandioso tempio costruito da Salomone era stato incendiato e fatto a pezzi, la popolazione era stata deportata in Babilonia, dove era rimasta settant’anni in schiavitù. In questa città arriva improvvisamente il messaggero che porta la grande notizia: la schiavitù è finita e il Signore sta per ritornare, «ha riscattato Gerusalemme»; le sentinelle, scoraggiate e stanche, esultano e ripetono la notizia ai pochi abitanti rimasti in città. La profezia di Isaìa si realizza pienamente proprio oggi, giorno di Natale, perché il regno di Dio si ricostruisce pienamente quando il suo re, Gesù, nasce per entrare trionfalmente nella città santa per ristabilire il mondo nella pace. Tutti i confini della terra vedranno, dice il profeta, e oggi finalmente vedono: la profezia si realizza perché la parola di Dio non mente. Anche noi siamo chiamati a esultare non meno di quelle sentinelle, perché i nostri occhi hanno visto la salvezza in Cristo Gesù; non possiamo, nel Natale del tempo, essere tristi.


SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 1,1-6)
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio». – Parola di Dio.

Commento alla seconda lettura

La parola “ultimamente”, contenuta in questo prologo della lettera agli Ebrei, non significa “in questi ultimi giorni”, ma “in modo ultimativo, definitivo”. Prima c’erano i profeti, che portavano nel mondo la parola di Dio a seconda delle varie esigenze, ma anch’essi erano semplici uomini; profetavano solo ogni tanto, poi per il resto parlavano di cose normali come tutti gli altri. Il Figlio, invece, non parla con la parola di Dio in modo occasionale, perché egli stesso è la parola di Dio, essendo Dio. Ogni cosa che Gesù dice, sempre, è quindi parola detta da Dio. «Tutto sostiene con la sua parola potente», dice la lettera, perché dalla bocca di Dio escono solo parole di verità. Quindi, necessariamente Gesù è superiore anche agli angeli, che sono creature, per quanto eccelse. Tanto è vero questo che quando Gesù appare nel mondo gli angeli si fermano, si volgono verso il bambino e adorano. Poi in seguito quel bambino parlerà, ma intanto adoriamo tutti il Verbo di Dio, nel suo silenzio infante, per preparare i nostri cuori ad accogliere ogni parola che poi uscirà dalla sua bocca.


VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-18)
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. – Parola del Signore.

Commento al Vangelo

Il prologo del Vangelo di Giovanni si presta non tanto a essere meditato, quanto a essere interiorizzato in modo umile e adorante, come si conviene in questa solennità del Natale. Non vi sono ragionamenti da fare, ma dobbiamo disporci ad accogliere, assimilare, adorare. Il Verbo di Dio era presso il Padre, ci dice l’Apostolo, e ora si è fatto carne. Senza l’Incarnazione ogni rapporto con Dio sarebbe impossibile, perché solo Gesù conosce il Padre, essendo in lui fin dall’eternità. Se lo accogliamo, egli ci dà il potere di diventare figli di Dio. Il figlio ha la stessa natura di colui che lo ha generato, quindi l’uomo può essere divinizzato se accoglie, crede, si conforma a Gesù. Figli di Dio dunque non si nasce, ma si diventa. E, una volta in Cristo, egli ci mostra il volto del Padre. La parola “rivelare” (l’ultima parola del brano) deriva dal latino “retrum-velum-dare”, che significa “alzare il velo”. Gesù, nella sua umanità da noi accolta, alza il velo perché noi possiamo finalmente vedere il volto del Padre, cosa impossibile nell’Antico Testamento. Non lo vedremo con gli occhi corporali, ma nell’unione intima con il Cristo, perché egli non possiede che il Padre e quello che possiede ce lo dona.


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