Testi tratti dal Messalino “Sulla Tua Parola” settembre-ottobre 2022
26ª domenica del Tempo Ordinario (C)
2ª sett. salt.
PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Amos (Am 6,1a.4-7)
Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti. – Parola di Dio.
Commento alla prima lettura
Questa lettura descrive con grande intensità e vigore situazioni di ieri e di oggi. Il profeta critica aspramente la corruzione della classe dirigente d’Israele, che trae vantaggio dalla propria posizione sociale e non si cura del bene comune. Amos non agisce per suo interesse, ma diventa davvero voce di Dio a favore dei più poveri e di coloro che confidano nel Signore, pur sperimentando difficoltà e ingiustizie, la povertà e l’indigenza. Ciò che ad Amos sta a cuore è la visione di fede, l’importanza di ritornare a vivere le esigenze dell’alleanza e di praticare la giustizia. I capi d’Israele, invece, si godono la vita, non si preoccupano delle sofferenze e, meno ancora, dell’infelicità dei poveri, degli esclusi e degli oppressi. Di fronte a questa superficialità dettata dal loro egoismo, il profeta annunzia come castigo la conquista nemica e l’esilio. Quando questo evento capiterà, proprio loro saranno i primi a essere colpiti. In questo contesto il messaggio del profeta è un invito a cambiare mentalità e ad assumere fino in fondo le proprie responsabilità.
SECONDA LETTURA
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (1Tm 6,11-16)
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo. A lui onore e potenza per sempre. Amen.- Parola di Dio.
Commento alla seconda lettura
Non si nasce uomini di Dio, ma lo si diventa scegliendo Cristo in ogni istante della vita. Per questo la vita cristiana è un combattimento, una lotta che, prima di tutto, si svolge nel proprio cuore. A questo riguardo, c’è un libro del 1600 scritto da padre Lorenzo Scupoli intitolato “Il combattimento spirituale”, in cui egli dà delle indicazioni su come affrontare la buona battaglia della fede nel proprio cammino. San Francesco di Sales, che conobbe di persona padre Scupoli (divenne per lui un punto di riferimento), tutti i giorni leggeva questo testo e lo raccomandava anche ai suoi figli spirituali. Egli, attraverso una lotta interiore quotidiana, è riuscito a dominare il suo temperamento impulsivo e irritabile, al punto da essere noto come il santo della mitezza, della dolcezza e dell’amabilità. Dunque, la vita cristiana ricevuta nel Battesimo, è dono di Dio, ma è anche conquista e impegno che esige di intraprendere una lotta per accogliere e far fruttificare la Parola di Dio seminata nel nostro cuore. Non solo Timòteo deve combattere «la buona battaglia della fede», ma anche ognuno di noi.
VANGELO DEL GIORNO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,19-31)
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». – Parola del Signore.
Commento al Vangelo del giorno
Sono due le situazioni che il Vangelo ci mostra. La prima avviene durante la vita e ci fa vedere “il ricco”, senza nome, che vive nel lusso e banchetta lautamente, e il povero “Lazzaro”, che significa: “Dio viene in aiuto”, seduto alla porta del ricco. La seconda scena si svolge nell’aldilà: dopo la morte Lazzaro si trova nella beatitudine e il ricco nei tormenti. Non è detto che un ricco (solo perché ha tanti soldi) sia necessariamente egoista; come nessuno assicura che un povero (solo perché ha pochi soldi) non sia egoista. Lazzaro gode della benedizione di Dio non perché è povero, ma per il modo con cui vive la sua indigenza. In lui, infatti, non troviamo parole di odio e di maledizione, ma solo mitezza. Il ricco non è condannato per la sua ricchezza, ma per il modo con cui l’ha vissuta. La ricchezza in sé non è un male, se viene condivisa diventa una grande opportunità di bene e di benessere per tutti. Il male sta nell’indifferenza, nell’avarizia, nell’egoismo, nel vivere per sé stessi ponendo gli altri al proprio servizio, nel non vedere l’altro nella sua dignità di persona. Orientiamo alla misericordia le nostre scelte di vita, per imparare a guardare con rispetto ai poveri e a prenderci cura di loro con amore disinteressato.