Liturgia della domenica – 27 settembre 2020

Liturgia della domenica – 27 settembre 2020

Liturgia domenica 27 settembre

I commenti sulla liturgia del giorno tratti dal Messalino “Sulla Tua Parola” di settembre/ottobre 2020.

26ª domenica del Tempo Ordinario (A)
2ª sett. salt.


PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Ezechièle (Ez 18,25-28)
Così dice il Signore: «Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà». Parola di Dio.

Commento alla prima lettura

La liturgia non può farlo ma noi, a casa, sì. Sarebbe utile e bello leggere tutto il capitolo 18 del libro del profeta Ezechièle per gustare appieno la prima lettura di questa 26a domenica del Tempo Ordinario. È un capitolo che affronta il tema della responsabilità personale del peccatore. Il capitolo si apre con un proverbio che recita così: «I padri han mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono allegati». Non era estranea, infatti, alla visione teologica di Israele l’idea che il peccato del padre si sarebbe riversato sui figli e sui figli dei figli, per un numero indeterminato di generazioni. A un certo punto il popolo vede che non è così e sente questo come uno scandalo, non capisce più l’agire di Dio. Attraverso il profeta Dio richiama il suo popolo. La responsabilità di ogni scelta è sempre personale. Non è lontano da noi questo modo di sentire. Quante volte, a giustificazione del male che vediamo intorno a noi e dentro di noi, usiamo la frase: «Ma è colpa della società in cui viviamo»! No. La società ha le sue colpe, che diventano nostre solo se noi decidiamo di farle diventare nostre.


SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 2,1-11)
Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Parola di Dio.

Commento alla seconda lettura

«Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù»: tutto il percorso della fede può trovare la sua sintesi in questa brevissima frase che l’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Filippi. Chi ha avuto la fortuna di avere un parroco attento e presente durante l’età dell’infanzia, uno di quei parroci tutti dediti alla loro comunità, riconoscerà in questa esortazione il contenuto di tanti consigli ricevuti. Quando nelle mie confessioni da bambino e da adolescente rivelavo al mio buon parroco alcune marachelle fatte o sul punto d’essere fatte, quando gli chiedevo dei consigli su alcune scelte da fare, la sua risposta era sempre la stessa: «Chiediti: cosa farebbe Gesù al posto mio?». Devo dire che ancora oggi, nonostante tutta la teologia studiata, gli esami fatti, l’esperienza pastorale acquisita, dinnanzi alle cose da fare o da dire, la prima domanda che mi viene in mente è quella stessa che mi rivolgeva il mio parroco. A delle menti metafisiche e speculative tutto questo può sembrare banale e semplicistico ma, in fondo, non è vero che «se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli»?


VANGELO DI OGGI

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,28-32)
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». Parola del Signore.

Commento al Vangelo di oggi

Che grande ricchezza le parabole raccontate da Gesù! Hanno il potere e la capacità di condurci immediatamente alla sua presenza, interrogano il nostro io più profondo, tirano fuori i pensieri più nascosti che non osiamo confessare neppure a noi stessi. Ciò che Gesù oggi vuole sottolineare è il fatto che non è importante quando si è chiamati ma come si risponde alla chiamata. Forse quei capi dei sacerdoti e quegli anziani del popolo, sentendosi scelti da sempre per far parte del popolo di Dio, avevano dato per scontata l’irrevocabilità di quella chiamata. Si sentivano certi della scelta di Dio e non davano più importanza alle conseguenze di questa predilezione. Si è chiamati non per una dignità o per dei meriti personali, ma sempre per un lavoro necessario affinché la vigna del Signore possa portare frutti copiosi per poter deliziare il mondo intero. Quante domande pone Gesù! E quante poche risposte! Perché la risposta è l’esito della nostra libertà pro-vocata dalla sua presenza. Quanto saranno suonate inopportune le parole di Gesù circa i pubblicani e le prostitute! Quanto suonano strane pure a noi oggi che, spesso, ci sentiamo a posto pur senza aver fatto nulla per la custodia della vigna!


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