Don Bosco: «Padre e maestro della gioventù»

Don Bosco: «Padre e maestro della gioventù»

Don bosco

«Padre e maestro della gioventù»: così Giovanni Paolo II definisce don Bosco, a motivo del suo metodo educativo, che si basa su tre pilastri: religione, ragione e amorevolezza e che si propone di formare buoni cristiani e onesti cittadini. Don Bosco, uno dei santi più amati in vita, è anche oggi uno dei più invocati e popolari per le grazie che si ottengono incessantemente per sua intercessione.

L’infanzia

Giovanni Bosco era nato il 16 agosto 1815 ai Becchi, una frazione di Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco); suo padre, Francesco Bosco, e sua madre, Margherita Occhiena, erano contadini. A soli 2 anni Giovanni rimase orfano di padre e la madre, vedova a 29 anni, si trovò con tre figli da crescere: oltre a Giovanni c’erano Antonio (figlio della prima moglie defunta) e Giuseppe; Margherita doveva inoltre assistere e mantenere la suocera anziana e malata. E si rimboccò le maniche; lavorava i campi e con grandi sacrifici lottò per dare il necessario sostentamento alla famiglia e per permettere a Giovanni di studiare; cosa, tra l’altro, malvista dal fratellastro Antonio che riteneva tempo e denaro sprecati quelli impiegati sui libri, mentre lui doveva zappare la terra.
Giovanni era intelligente, brillante e nel paese era diventato l’idolo dei ragazzini, era un trascinatore. Alla domenica, dopo i Vespri, riuniva i suoi coetanei e li intratteneva con giochi e acrobazie che aveva visto fare ai saltimbanchi delle fiere; poi, dotato di memoria eccezionale, ripeteva loro la predica che aveva ascoltato in chiesa.

Il sogno dei 9 anni

A 9 anni fece un sogno che gli svelò la missione a cui Dio lo chiamava; lo definì in seguito un sogno profetico. Più volte raccontò ai suoi ragazzi quella che, secondo il suo primo biografo Lemoyne, potremmo chiamare una visione. Nel sogno gli sembrava di essere vicino a casa, in un ampio cortile, dove si divertiva con un gran numero di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Sentendo le bestemmie, si lanciò in mezzo a loro, cercando di fermarli con i pugni e le parole. In quel momento gli apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente: aveva un viso così luminoso che non riusciva a guardarlo. L’uomo chiamò Giovanni per nome e gli ordinò di mettersi a capo di quei ragazzi, aggiungendo: «Dovrai farteli amici non con le percosse ma con la mansuetudine e la carità. Su, parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva e che l’amicizia con il Signore è un bene prezioso». Quando il Santo gli chiese chi fosse, lui rispose: «Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno». In quel momento vide vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto risplendente, che lo prese per mano e gli indicò di guardare in una direzione; guardandovi Giovanni si accorse che quei ragazzi erano tutti scomparsi e al loro posto c’era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa gli disse: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto, e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli». Guardando ancora, vide che al posto degli animali feroci erano comparsi altrettanti agnelli mansueti che saltellavano, correvano, belavano, facevano festa intorno a quell’uomo e a quella signora. A questo punto del sogno Giovanni si mise a piangere e disse alla signora che non capiva tutte quelle cose; la Vergine allora gli pose una mano sulla testa e gli disse: «A suo tempo, tutto comprenderai».

Adolescenza e giovinezza

Dopo la Prima Comunione, che fece a 11 anni, divenute insostenibili le prepotenze del fratellastro, dovette andarsene da casa; lavorò come garzone alla cascina Moglia; lì, nel novembre 1829, conobbe don Giovanni Calosso, cappellano di Morialdo; il sacerdote, dopo essersi reso conto dell’intelligenza del ragazzo, s’impegnò ad aiutarlo negli studi e gli diede le prime lezioni di latino. Morto improvvisamente il sacerdote, Giovanni riuscì a riprendere gli studi solo nel 1831. Faceva ogni tipo di mestiere per pagarsi la scuola: falegname, sarto, cameriere, calzolaio, apprendista fabbro. Alla scuola di Chieri fondò la “Società dell’Allegria” attraverso la quale, insieme ad alcuni giovani, cercava di far avvicinare alla preghiera i coetanei, utilizzando i giochi di prestigio e le sue acrobazie. In quegli anni divenne grande amico di Luigi Comollo, nipote del parroco di Cinzano. Il giovane era spesso maltrattato e insultato dai compagni ma non reagiva con violenza, piuttosto la sua arma era il sorriso; il giovane Bosco lo difendeva anche azzuffandosi con gli aggressori; dal canto suo Comollo accettava queste sofferenze e non risparmiava parole di perdono. Nelle sue Memorie don Bosco dichiarò: «Posso dire che da lui ho cominciato a imparare a vivere da cristiano» e capì quanto fosse essenziale la salvezza dell’anima.
Un ruolo fondamentale nella vita di Giovanni lo ebbe la madre che, a differenza dei parenti, non ostacolò mai la sua vocazione.

Dai primi segni della vocazione alla scelta di entrare in seminario

In seguito al cosiddetto “sogno dei 9 anni” Giovanni già aveva cominciato a sentire la sua vocazione. A 19 anni voleva farsi religioso francescano e la madre, che era stata informata dal parroco del proposito del figlio, gli disse: «Il parroco è venuto a dirmi che vuoi entrare in convento. Sentimi bene. Io voglio che tu ci pensi e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te.Ma io ti dico. In queste cose tua madre non c’entra. Dio è prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono vissuta povera, e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio subito dire: se ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco non metterò mai più piede in casa tua. Ricordatelo bene». Giovanni non si dimenticò mai le parole della madre che restò sempre al suo fianco, lo consigliò e lo aiutò in seguito nella sua opera educativa.
Dopo aver pregato molto ed essersi confrontato con il suo confessore, don Giuseppe Cafasso, e con gli amici, a vent’anni, il 25 ottobre 1835, Giovanni entrò nel seminario di Chieri; vi rimase sei anni.


«Dammi le anime, prenditi tutto il resto»

In seminario Giovanni aveva incontrato di nuovo il suo amico Comollo ma questi nel 1837, a soli 22 anni, morì. Da una testimonianza diretta di Giovanni Bosco e dei suoi compagni di camera sappiamo che l’amico apparve al Santo come un rombo di tuono e sotto forma di una luce; gli disse: «Bosco! Bosco! Bosco! Io sono salvo!». Da quel momento in poi Giovanni, profondamente scosso, decise di porre al di sopra di tutto la salvezza eterna tanto che il suo motto, ispirato a Gen 14,21, era: «Da mihi animas, caetera tolle» («Dammi le anime, prenditi tutto il resto»); e questa frase era scritta a grossi caratteri su un cartello che teneva nella sua camera a Valdocco.

Sacerdote tra i giovani

Il 5 giugno 1841 fu ordinato sacerdote. Su invito di don Cafasso, decise di entrare nel Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi di Torino per perfezionarsi in teologia morale e prepararsi al ministero. Vi rimase tre anni. Fu proprio in quel periodo che iniziò la missione che fin da bambino aveva desiderato realizzare: essere sacerdote tra i giovani e far conoscere loro la dottrina cattolica, insegnargli ad amare Gesù e Maria santissima, mostrando loro la strada per la salvezza dell’anima. Tutto cominciò dopo l’incontro del Santo con il giovane muratore Bartolomeo Garelli, che era stato maltrattato dal sagrestano perché non sapeva servire la messa. Don Bosco gli fece dire un’Ave Maria e lo invitò a ritornare con i suoi amici. Con Garelli nacque l’Oratorio di San Francesco di Sales e, dopo pochi giorni, arrivarono con lui sei ragazzini a cui poi se ne aggiunsero altri mandati da don Cafasso. L’opera dell’Oratorio, all’inizio itinerante, trovò poi sede stabile a Valdocco, Casa Madre di tutte le opere salesiane. Don Bosco intercettò il disagio sociale e spirituale degli adolescenti del suo tempo. Torino era in quel periodo una città molto in espansione su diversi fronti; c’era una forte immigrazione dalle campagne piemontesi e i giovani erano afflitti da vari problemi: disoccupazione, analfabetismo, degrado morale e mancanza di assistenza religiosa. Il passaggio dal mondo agricolo a quello preindustriale aveva prodotto disagi a cui la pastorale tradizionale non aveva saputo far fronte. Don Bosco intuì, insieme ad altri giovani sacerdoti, che l’Oratorio poteva essere la risposta a tale situazione critica.


«Buoni cristiani ed onesti cittadini»

Don Bosco voleva formare «buoni cristiani ed onesti cittadini». Faceva notare che non era sufficiente amare i giovani, bisognava che essi percepissero di essere amati. «È più comodo alla nostra impazienza – scrisse – e alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo facevano piangere e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo. Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma, che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione. Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne a ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l’aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi scandalo, e in molti la Santa speranza di ottenere il perdono da Dio».

Il “sogno delle due colonne”

Don Bosco amò con tutto sé stesso l’Eucaristia, la Madonna e il Papa. Il suo famoso “sogno delle due colonne” è considerato profetico per il futuro della Chiesa. Il Santo aveva sognato una violenta battaglia in mare scatenata da molte imbarcazioni contro un’unica grande nave che simboleggiava la Chiesa con il suo comandante, il Papa. La nave, colpita più volte veniva guidata dal Papa a gettare l’ancora fra due alte colonne emerse dal mare: la colonna dell’Eucaristia e quella della Madonna.

Una vita dedicata ai giovani fino alla fine

Don Bosco diceva ai suoi giovani: «Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita». Un amore totale che a 72 anni, nonostante fosse sfinito dal lavoro, gli faceva dire: «Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani».
A loro disse: «Troverete scrittori di gran lunga più virtuosi e più dotti di me, ma difficilmente potrete trovare chi più di me vi ama in Gesù Cristo e più di me desidera la vostra vera felicità». Una delle sue ultime raccomandazioni fu questa: «Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso».
Morì all’alba del 31 gennaio 1888. Fu beatificato il 2 giugno 1929 e canonizzato il 1° aprile 1934, alla chiusura dell’anno della Redenzione.
San Giovanni Bosco è il fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Possa l’esempio di san Giovanni Bosco illuminarci come un faro nelle nostre notti, nelle nostre fatiche di educare; il suo esempio e le sue parole ci ispirino una vita santa, così che possiamo diventare anche noi testimoni credibili per i nostri ragazzi.

Buon cammino!

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